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Andrea Viliotti, digital innovation consultant (augmented edition)
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  • Alfabetizzazione AI e responsabilità aziendale: adeguamento al quadro normativo
    L’alfabetizzazione sull’Intelligenza Artificiale (AI literacy) rappresenta un obbligo crescente per le aziende, reso indispensabile dalle nuove normative europee. Dirigenti e dipendenti devono acquisire competenze specifiche sui modelli di AI generativa, reti neurali e algoritmi avanzati, comprendendone funzionamento, opportunità e rischi.La normativa europea pone particolare enfasi sulla formazione differenziata in base ai ruoli aziendali: il management deve possedere una visione strategica, mentre gli operatori devono conoscere gli aspetti tecnici pratici. Il fine ultimo è assicurare un utilizzo consapevole ed etico delle tecnologie intelligenti, proteggendo utenti e consumatori.Le competenze necessarie variano in funzione del livello di rischio associato ai sistemi adottati. I sistemi "ad alto rischio" richiedono formazione avanzata per evitare errori critici, soprattutto in settori sensibili come la sanità o i servizi finanziari. In questi ambiti, l’errore di un algoritmo può produrre effetti negativi rilevanti, ad esempio diagnosi mediche errate o discriminazioni nel credito bancario.Per una alfabetizzazione efficace, le aziende adottano percorsi formativi specifici e valutazioni del rischio mirate. Workshop e simulazioni pratiche, ad esempio nell’assistenza clienti con chatbot, permettono al personale di gestire situazioni realistiche, migliorando la capacità di intervento in caso di output imprevisti o errati. È essenziale anche la figura del supervisore umano (human-in-the-loop), incaricato di validare gli output degli algoritmi, garantendo trasparenza e responsabilità.L’integrazione dei sistemi AI avviene attraverso diverse metodologie formative, dalla formazione interna ai servizi specialistici esterni. Tra queste ultime, si distingue l’approccio modulare proposto da servizi come Rhythm Blues AI, che offre audit iniziali, corsi personalizzati e consulenza per integrare progressivamente l’AI nelle attività aziendali.In termini di compliance normativa, le aziende devono conoscere le principali scadenze dell’AI Act europeo: dal 2 febbraio 2025 entreranno in vigore le disposizioni fondamentali, mentre dal 3 agosto 2026 partirà ufficialmente la supervisione delle autorità nazionali. Durante questo periodo transitorio, è raccomandato documentare accuratamente la formazione erogata per evitare sanzioni. Infatti, la normativa prevede penalità variabili in caso di mancata preparazione adeguata, specialmente per incidenti legati all'assenza di supervisione umana.Le aziende estere che operano in Europa devono attenersi alle stesse norme, garantendo la formazione minima necessaria per operare con modelli linguistici e AI generativa sul territorio europeo.Sul fronte delle risorse e del supporto, la Commissione Europea mette a disposizione strumenti continuamente aggiornati per facilitare lo scambio di buone pratiche. I Digital Innovation Hubs, in particolare, rappresentano un punto di riferimento per PMI che desiderano adottare l’AI in modo graduale e sostenibile, con offerte che spaziano dai bootcamp ai programmi di mentorship.L’alfabetizzazione sull’AI, dunque, si configura come elemento strategico essenziale per la competitività aziendale. Non si tratta solo di evitare sanzioni, ma di integrare responsabilmente nuove tecnologie per massimizzare l’efficienza e minimizzare i rischi, tutelando la sostenibilità organizzativa, la privacy e i diritti degli utenti finali.
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    6:06
  • Agenti Generativi: Come Trasformano Strategie, Processi e Leadership Aziendale
    Nel tempo delle automazioni intelligenti, non è piùsufficiente chiedersi “cosa può fare l’AI per la mia azienda?”, ma “quale ruolo può ricoprire l’AI dentro la mia organizzazione?”. Gli agenti generativi non sono strumenti: sono attori. E se il management continua a considerarli come funzioni accessorie, rischia di restare fuori da un cambiamento che non riguarda solo la tecnologia, ma la natura stessa del lavoro e della leadership.L’introduzione degli agenti generativi in azienda segna unadiscontinuità non solo tecnologica ma organizzativa. Non parliamo più di sistemi che eseguono comandi, ma di entità software capaci di definire autonomamente le proprie azioni, orchestrando strumenti, dati e risorse secondologiche finalizzate. Con il passaggio dalla semplice generazione all'azione, cambia il modello di delega: da esecutori passivi a collaboratori digitali proattivi.Un agente, oggi, è in grado di percepire una riduzione del18,75% nella pressione degli pneumatici e avvisare l’utente in tempo reale, segnalando l’aumento di consumo e la riduzione della sicurezza. Ma il punto strategico non è la notifica: è la capacità di decisione autonoma in contesto operativo. Questo è ciò che le imprese devono imparare a gestire.Tre leve strategiche emergono con forza:Ciò che emerge è un diverso significato di “efficienza”: nonè più solo riduzione dei tempi o dei costi, ma capacità di reazione consapevole e scalabile. Per esempio, un sistema multi-agente in un team marketing consente di anticipare scenari, calcolare ROI e allineare creatività e logistica, eliminando tempi morti senza compromettere la qualità.Ma attenzione: la potenza del paradigma agentico nonsi misura in feature, bensì in coerenza strategica. Non basta installare agenti: serve un nuovo modello di design organizzativo, dove orchestrazione, sicurezza e osservabilità sono pilastri di fiducia e competitività.L’equilibrio tra automazione e intervento umano resta fondamentale, soprattutto in settori ad alta regolamentazione o impatto sociale.Gli agenti generativi non sono il futuro dellatecnologia: sono il presente della leadership. Chi saprà guidarli, integrarli e valutarli con intelligenza costruirà aziende capaci di agire in autonomia, ma sotto una visione condivisa.
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    5:32
  • AI generativa nella ricerca di informazioni: come cambia il potere decisionale delle imprese
    Fino a pochi anni fa, cercare un’informazione era un esercizio sequenziale: digitare, selezionare, leggere, incrociare. Oggi, l’interazione con l’intelligenza artificiale generativa ha spezzato quella linearità, instaurando un nuovo paradigma relazionale con il sapere digitale. Nell’articolo “AI generativa nella ricerca di informazioni: evoluzione, applicazioni e strategie per imprese e tecnici” pubblicato su una fonte non specificata ma approfondita e strutturata, emerge con chiarezza che il passaggio da parole chiave a dialoghi intelligenti non è solo una questione di efficienza, ma una mutazione profonda del rapporto tra manager, sistemi informativi e potere decisionale.Il dato più significativo è che nel 2024, circa 15 milioni di americani hanno dichiarato di utilizzare regolarmente un assistente AI conversazionale per le loro ricerche, e il 98% dei consulenti coinvolti in un progetto pilota di una banca d'investimento ha adottato con entusiasmo una piattaforma basata su modelli linguistici. Se aggiungiamo che il 79% degli avvocati e il 70% dei dirigenti sanitari valutano con concretezza l’integrazione di queste soluzioni nei propri processi, è evidente che la transizione sta assumendo una scala industriale.Ma ciò che colpisce è il modo in cui l’AI generativa ridisegna la mappa del potere informativo. Non più riservato a chi ha accesso privilegiato a fonti o archivi, il vantaggio competitivo si sposta su chi sa formulare domande giuste e verificare risposte complesse. Si afferma, in modo trasversale, una nuova forma di “alfabetizzazione cognitiva” che premia l’abilità di orchestrare conversazioni con le macchine. Il 66% dei docenti teme, non a torto, che tale dinamica impoverisca il pensiero critico, mentre altri intravedono in questo dialogo con la conoscenza un'opportunità per democratizzare l'accesso ai saperi.Per i dirigenti, ciò impone una riflessione profonda. Le aziende che riescono a consolidare un “patrimonio interrogabile” – un sistema interno in cui dati, archivi e competenze siano accessibili in linguaggio naturale – sviluppano una nuova forma di resilienza informativa. L’AI non è più solo uno strumento di supporto, ma un’interfaccia tra conoscenza e decisione. Come dimostrano le esperienze nella sanità o nella consulenza, dove l’85% dei professionisti vede un’applicazione diretta, la rapidità non è solo un vantaggio operativo, ma una leva per ridurre l’asimmetria informativa all’interno delle organizzazioni.Il rischio, tuttavia, è una dipendenza acritica. L’episodio del 2023, in cui due avvocati hanno citato cause inesistenti generate da un modello linguistico, è emblematico: la delega cieca all’algoritmo può compromettere la responsabilità e la credibilità. Così come l’utilizzo in ambiti critici, come la diagnostica medica o la progettazione ingegneristica, richiede una supervisione umana stringente. Il 70% degli sviluppatori già nel 2023 ha adottato sistemi di generazione automatica del codice, ma il codice prodotto deve comunque passare attraverso rigorosi controlli di sicurezza.Ciò che questo scenario impone alle imprese non è una semplice adozione tecnologica, ma un salto culturale. Serve una governance che sappia distinguere tra efficienza e affidabilità, tra sintesi automatica e interpretazione strategica. È questa la sfida reale per chi guida aziende nel mondo attuale: non più scegliere tra uomo o macchina, ma progettare processi in cui il pensiero umano sia potenziato, non sostituito, dall’AI. E in questo senso, la vera innovazione non risiede nell’algoritmo, ma nella capacità delle organizzazioni di ridefinire il proprio modo di apprendere, decidere e comunicare.In un mondo in cui il vantaggio competitivo si misura sempre più nella velocità con cui si trasforma l’informazione in decisione, l’AI generativa è una leva potente, ma come ogni leva, serve sapere dove applicarla. E soprattutto, con quale criterio.Ti interessa approfondire un’applicazione specifica nei tuoi processi aziendali?
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    5:41
  • Come Scrivere Prompt in Italiano per l’AI: Una Guida Strategica per Dirigenti e Manager
    Il prompt è diventato il nuovo piano industriale dell’intelligenza artificiale. Dove un tempo si costruivano roadmap triennali per implementare ERP o CRM, oggi si traccia in una singola istruzione la traiettoria strategica di un’interazione AI. In questo scenario, un prompt in italiano non è solo una variante linguistica: è una dichiarazione d’intenti culturale, metodologica e gestionale. L’articolo di Rhythm Blues AI esplora con chiarezza i meccanismi e le implicazioni di questa nuova competenza chiave.Ogni volta che un dirigente scrive "Agisci come un consulente finanziario" o un HR manager imposta “Prepara un questionario su leadership”, si assume implicitamente una responsabilità: definire i confini cognitivi del modello. La scelta del tono (“formale o informale”), l’individuazione del pubblico (dirigenti, studenti, clienti) e la definizione dello scopo non sono dettagli tecnici, ma leve organizzative. Come ricorda l’articolo, anche piccoli accorgimenti — ad esempio specificare “in massimo cinque frasi” o “evidenzia eventuali picchi anomali” — possono evitare lunghe iterazioni correttive e prevenire risposte dispersive. La qualità della formulazione incide sulla qualità della decisione.Un elemento sottile ma cruciale è la densità semantica dell’italiano. Le parole sono più lunghe, i giri sintattici più complessi, e il conteggio dei token — la valuta computazionale dei modelli come GPT-4 — può saturarsi in anticipo rispetto all’inglese. Ma è proprio in questo vincolo che si cela una virtù strategica: la necessità di sintesi obbliga chi scrive a chiarire meglio i propri obiettivi. Un prompt troppo lungo è spesso un prompt poco pensato.I casi d’uso citati da Rhythm Blues AI — dal teorema di Pitagora spiegato a un bambino di 10 anni alla proposta commerciale per una PMI del biologico — mostrano che la flessibilità dell’AI dipende dalla precisione iniziale. Una flessibilità senza direzione è solo dispersione. Il rischio delle “allucinazioni” è l’effetto collaterale di un’interazione troppo aperta, dove l’intelligenza artificiale finisce per improvvisare più che assistere. E in contesti ad alta criticità, come la compliance bancaria o la comunicazione verso il CdA, questa improvvisazione può costare molto.Un’intuizione particolarmente interessante dell’articolo riguarda il ruolo emergente del prompt engineer, una figura che potrebbe somigliare più a un traduttore culturale che a un tecnico: capace di convertire esigenze strategiche in comandi computazionali, ma anche attento al tono, al linguaggio e alla cornice normativa del paese in cui opera l’azienda. Questa professionalità, ancora fluida nei confini, richiede competenze ibride: comprensione del business, consapevolezza linguistica e conoscenza operativa dei modelli AI.C’è una lezione implicita in questo scenario: il prompt non è uno strumento da insegnare, ma un linguaggio da apprendere. Come ogni lingua, richiede esercizio, immersione, ma soprattutto intenzionalità. Non si tratta di sapere quali parole usare, ma perché usarle in un certo modo. Il vero rischio, oggi, non è che l’AI dia risposte sbagliate, ma che risponda bene a domande mal poste. Perché ciò che conta non è la perfezione dell’output, ma la direzione in cui esso orienta pensieri, scelte e processi aziendali.Un’impresa che integra l’AI senza padroneggiare i prompt rischia di affidarsi a un sistema intelligente con una bussola rotta. Invece, un’organizzazione che coltiva la cultura del prompt — come propone il programma formativo di Rhythm Blues AI — sviluppa una nuova forma di governance, fatta di linguaggio consapevole e istruzioni ben mirate. È un passaggio sottile ma decisivo: si passa dal “parlare con l’AI” al dirigere l’AI.La lingua italiana, da ostacolo apparente per via della sua complessità, può così trasformarsi in un vantaggio competitivo. Ma solo a condizione che i manager smettano di vedere il prompt come un trucco per risparmiare tempo.
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    6:48
  • Innovazione e Intelligenza Artificiale: la bussola etica di Papa Francesco per l’impresa del futuro
    Nel tempo dell’intelligenza artificiale generativa e della competizione tecnologica globale, la voce più sorprendentemente strategica arriva da un attore insospettabile: Papa Francesco. Non un ingegnere, non un economista, ma un leader spirituale che, proprio grazie alla distanza dalla logica dell’utile, riesce a illuminare le insidie e le possibilità dell’innovazione con uno sguardo non tecnico ma profondamente umano. L’articolo della testata vaticana raccoglie le sue principali prese di posizione, offrendo alle imprese una mappa concettuale che ha il merito di articolare questioni etiche, sociali e strategiche in modo non ideologico ma operativo. Chi dirige un’azienda oggi non può ignorare questo sguardo se vuole costruire non solo valore di mercato, ma anche resilienza reputazionale e sostenibilità a lungo termine.La portata dei numeri è già un messaggio: Papa Francesco ha visitato 67 Paesi dal 2013, firmato quattro encicliche – Lumen fidei (29 giugno 2013), Laudato si’ (24 maggio 2015), Fratelli tutti (3 ottobre 2020) e Dilexit Nos (24 ottobre 2024) – e ha partecipato a vertici globali come il G7 del 2024 per affrontare direttamente i rischi legati all’uso dell’intelligenza artificiale. Ha parlato di “algoretica”, ha denunciato la “immoralità” delle armi autonome e ha affermato che “l’essere umano non può cedere alla macchina la responsabilità di scegliere chi vive e chi muore”. Non è solo una questione spirituale: è una chiamata alla responsabilità sistemica, che interroga direttamente chi oggi costruisce algoritmi, modella mercati e orienta l’evoluzione tecnologica.Francesco rifiuta l’idea che la tecnologia sia neutra o che il progresso sia sempre un bene. Il suo approccio non è nostalgico né conservatore: non dice “no” all’intelligenza artificiale, ma impone una domanda centrale – a chi giova? – che il mondo economico ha spesso dimenticato. La Rome Call for AI Ethics, sostenuta dal Vaticano nel 2019, ha anticipato temi che oggi dominano le agende internazionali: trasparenza, accountability, equità nell’uso degli algoritmi. Non è utopia, è pianificazione del rischio reputazionale e sociale, che le aziende devono sempre più integrare nelle proprie metriche ESG.Perché un CEO dovrebbe ascoltare un Papa quando parla di AI? Perché il Pontefice, in fondo, agisce da analista sistemico: connette innovazione e lavoro, spiritualità e giustizia sociale, geopolitica e ambiente. Quando afferma che “questa economia uccide”, non si scaglia contro il mercato, ma contro un modello che espelle le persone invece di includerle. In un tempo in cui l’automazione ridisegna il lavoro e la sorveglianza algoritmica può minacciare la libertà, la sua richiesta di “umanizzare la tecnica” è quanto di più vicino a un principio di design responsabile possa esistere.Dal punto di vista aziendale, il messaggio più utile è che il vantaggio competitivo del futuro sarà legato alla capacità di rendere la tecnologia compatibile con la dignità. Non si tratta di un’aspirazione morale, ma di una scelta strategica. Se un algoritmo di selezione del personale introduce bias sistematici, non solo si violano diritti, ma si distrugge capitale reputazionale. Se un’AI per l’assistenza clienti esclude le esigenze più complesse, si perde fidelizzazione. Se l’innovazione non è spiegabile o controllabile, si espone l’azienda al rischio di regolazioni punitive. In questo scenario, la “cultura dell’incontro” proposta da Papa Francesco si traduce in pratiche di coinvolgimento e ascolto dei pubblici interni ed esterni. È un modello di governance distribuita, dove anche l’etica è un asset.In definitiva, Papa Francesco non propone una teologia applicata alla tecnologia, ma una riflessione sulla struttura stessa del potere nella società digitale. Invita a una leadership che non si limiti a governare strumenti, ma che assuma la responsabilità di costruire scenari.
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    4:53

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Acerca de Rhythm Blues AI

This podcast targets entrepreneurs and executives eager to excel in tech innovation, focusing on AI. An AI narrator transforms my articles—based on research from universities and global consulting firms—into episodes on generative AI, robotics, quantum computing, cybersecurity, and AI’s impact on business and society. Each episode offers analysis, real-world examples, and balanced insights to guide informed decisions and drive growth.
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